Social-Emotional Learning: educare alle emozioni senza insegnarle

Insegnanti ed educatori come modelli di regolazione e relazione - l'importanza di integrare esperienza educativa e pratiche per il benessere nei contesti di apprendimento.

Nicola Simoncelli

12/13/20254 min leggere

Negli ultimi anni il Social-Emotional Learning (SEL) è diventato una delle parole chiave più ricorrenti nel dibattito educativo. Scuole e organizzazioni internazionali lo indicano come una risposta necessaria all’aumento della complessità sociale, emotiva e relazionale che attraversa i contesti di apprendimento.

Anche in Italia, pur senza adottare sempre l’etichetta “SEL”, ne abbiamo recepito l’importanza traducendola in espressioni ormai consolidate nel lessico educativo come sviluppo armonico e integrale della persona, educazione alla cittadinanza, competenze relazionali, convivenza civile e benessere a scuola. Le Indicazioni nazionali per il curricolo chiariscono che la finalità generale della scuola è proprio lo sviluppo armonico e integrale della persona. Dentro questa cornice, molte scuole — in particolare nella fascia 0–6 e nel primo ciclo — traducono questi principi in pratiche educative concrete, come percorsi di educazione all’affettività e all’emotività, circle time, giochi di ruolo, pratiche di mediazione e percorsi di peer education.

Eppure, proprio nel momento in cui il SEL viene formalizzato in framework, competenze e programmi strutturati, emerge una tensione di fondo. Le emozioni possono davvero essere insegnate? Possono essere trasmesse come contenuti, spiegate come concetti, allenate come abilità tecniche?

Il Social-Emotional Learning è oggi sostenuto da un impianto teorico e operativo solido. Organizzazioni come CASEL (Collaborative for Academic, Social, and Emotional Learning), una non-profit statunitense considerata uno dei principali riferimenti internazionali sul SEL, hanno contribuito a sistematizzare il campo individuando cinque grandi aree di sviluppo: autoconsapevolezza, autogestione, consapevolezza sociale, competenze relazionali e processo decisionale responsabile. Numerose ricerche mostrano come programmi SEL ben progettati siano associati a benefici sul piano del benessere, del comportamento e anche del successo scolastico.

Questa strutturazione ha avuto un merito indiscutibile, perché ha reso visibile e legittimo il lavoro sulle dimensioni emotive e sociali, storicamente marginalizzate nei curricoli scolastici. Tuttavia, porta con sé un rischio sottile: quello di confondere la descrizione di un processo con la sua modalità di apprendimento. Definire competenze socio-emotive non significa automaticamente che esse possano essere insegnate nello stesso modo in cui si insegnano altri contenuti disciplinari (italiano, matematica, storia, ecc.). Le emozioni non sono "contenuti" da assimilare, ma piuttosto esperienze che attraversano il corpo, il contesto e la relazione con l’altro e che diventano conoscenza solo quando vengono vissute, elaborate e integrate.

A questo punto, la domanda diventa inevitabile: ma come avviene una lezione di Social-Emotional Learning?

Una lezione di SEL si distingue nettamente da una lezione tradizionale. Non è centrata sulla spiegazione di concetti astratti né sulla memorizzazione di nozioni, ma sulla costruzione intenzionale di esperienze che permettono agli studenti di esplorare emozioni e relazioni in modo attivo e guidato.

Non esiste un modello universale, ma molti programmi basati sull’evidenza condividono una struttura ricorrente, articolata in più fasi e adattabile all’età degli studenti e al contesto educativo.

La lezione si apre generalmente con un momento di connessione emotiva, in cui gli studenti sono invitati a riconoscere il proprio stato emotivo. Attraverso strumenti semplici — simboli, metafore o brevi condivisioni — le emozioni diventano presenti e legittime all’interno dello spazio educativo, senza giudizio e senza obbligo di esposizione.

Segue un focus su una situazione o su un’abilità introdotta dall’insegnante, che può riguardare una difficoltà relazionale ricorrente, una strategia di autoregolazione o una scelta da affrontare. Non si tratta di spiegare cosa sia “giusto” provare, ma di offrire un riferimento comune, ancorato a situazioni concrete e riconoscibili.

La fase centrale è quella della pratica attiva. Attraverso giochi di ruolo, simulazioni e attività cooperative, gli studenti sono chiamati a mettersi in gioco, a sperimentare modalità diverse di comunicazione e relazione e a vivere emozioni reali in un contesto protetto. È qui che le competenze socio-emotive prendono forma, non perché vengano descritte, ma perché vengono attraversate.

La lezione si conclude con un momento di riflessione e rielaborazione, in cui l’esperienza vissuta viene nominata, raccontata e collegata alla quotidianità. Il linguaggio arriva dopo l’esperienza e serve a darle senso, non a sostituirla.

In questo contesto, l’esperienza si può definire corporea, perché le emozioni passano dal corpo; sensoriale, perché materiali, spazi e oggetti mediano l’azione; relazionale, perché l’altro è sempre parte dell’esperienza; situata, perché il contesto dà forma e significato a ciò che accade. Educare alle emozioni significa quindi progettare ambienti, tempi e situazioni che rendano possibile l’emergere di queste dimensioni, più che introdurre spiegazioni sulle emozioni stesse.

Queste pratiche, e più in generale l’idea di lavorare sul benessere attraverso esperienze guidate, trovano un consenso ampio in ambito pedagogico, psicologico e neuroscientifico su un punto essenziale: è dall’esperienza che si passa alla concettualizzazione, non il contrario. Le emozioni vengono vissute prima di essere nominate, regolate prima di essere spiegate, riconosciute prima di essere analizzate. Un bambino sviluppa empatia non perché qualcuno gliela descrive, ma perché vive situazioni in cui è chiamato a confrontarsi con il punto di vista dell’altro. Allo stesso modo, impara l’autoregolazione non solo attraverso definizioni e spiegazioni verbali dei possibili stati d’animo, ma perché attraversa contesti diversi che gli permettono di sperimentare nel confronto coi pari. È così che impara progressivamente a riconoscere ciò che prova e a gestirlo. Il SEL non è quindi una “materia”, ma una dimensione trasversale dell’esperienza educativa che, se non viene vissuta attraverso la pratica, il gioco e il coinvolgimento attivo, rischia di ridursi a momenti di istruzione emotiva, più descrittivi che trasformativi.

Se il Social-Emotional Learning si sviluppa attraverso l’esperienza e la relazione, è naturale chiedersi quali pratiche possano sostenere il benessere di tutte le persone coinvolte nei contesti educativi, a partire dal corpo docente. Un aspetto spesso sottovalutato, infatti, riguarda la formazione degli adulti. Insegnanti ed educatori sono chiamati ogni giorno a gestire gruppi complessi, in qualità di modelli di regolazione e di relazione. Per questo, nei percorsi di formazione iniziale e continuativa, diventa sempre più importante affiancare alle competenze didattiche tradizionali anche pratiche che sostengano il benessere personale.

Attività come yoga, meditazione, esercizi di respirazione e mindfulness possono diventare alleati concreti. Non come “discipline alternative”, ma come strumenti di presenza, ascolto e autoregolazione. Il loro obiettivo è creare condizioni corporee e sensoriali favorevoli, come attenzione, calma e consapevolezza del proprio stato interiore. In questo senso, sono pienamente coerenti con il SEL, perché lavorano sulla stessa dimensione di fondo, ovvero la capacità di stare nell’esperienza.

Senza ipotizzare di aggiungere nuove competenze formali al profilo degli insegnanti, si tratta piuttosto di ampliare lo sguardo sulla professionalità educativa, riconoscendo che la dimensione emotiva e sensoriale non riguarda solo gli studenti, ma attraversa l’intero ambiente di apprendimento. Un educatore che ha familiarità con pratiche di ascolto di sé è più attrezzato per accompagnare i processi socio-emotivi degli altri, senza forzarli né semplificarli.

In questa prospettiva, integrare il Social-Emotional Learning come parte di una cultura educativa che valorizza esperienza, corpo e relazione può migliorare il benessere a scuola, tanto nei bambini quanto negli insegnanti che li accompagnano.