La tecnologia nella vita e nella scuola. Dall’autonomia percepita al diritto di sbagliare
Accettare la tecnologia senza rinnegare il nostro processo di apprendimento
Nicola Simoncelli
9/16/20253 min leggere


Viviamo in un’epoca in cui gli strumenti digitali ci semplificano la vita: ci suggeriscono cosa comprare, quali strade percorrere, quale musica ascoltare. Sono preziosi alleati quotidiani, ma sempre più spesso prendono decisioni al posto nostro. Il rischio? Perdere non solo la libertà di scegliere, ma anche il diritto di sbagliare, parte integrante del processo di apprendimento e di crescita.
La tecnologia promette di liberarci da fatiche e attività ripetitive, alleggerendo il carico quotidiano. Ma è davvero questo ciò di cui abbiamo bisogno? E, anche se la risposta fosse sì, siamo sicuri che lo sia in ogni momento della nostra vita?
Assistenti virtuali, algoritmi e app organizzano le nostre giornate riducendo l’imprevisto e semplificando la routine. Per un professionista possono essere una risorsa preziosa, ma per la persona comune il rischio è quello di lasciare che la macchina compia ogni scelta, senza nemmeno accorgersene. Come sottolinea il filosofo Albert Borgmann con il suo “paradigma del dispositivo”, la relazione tra persone e strumenti tecnologici finisce inevitabilmente per trasformare anche le relazioni sociali, plasmandole a nostra insaputa.
Eppure, una parte essenziale di ciò che ci rende umani è proprio la possibilità di sbagliare, imparare e migliorarci. L’errore non è un difetto da cancellare, ma una tappa necessaria del percorso di apprendimento. È attraverso l’errore che siamo costretti a fermarci, riflettere e rimettere in discussione le nostre scelte. È qui che nasce il pensiero critico: dal rivedere ipotesi, confrontare prospettive, cercare nuove soluzioni.
Sbagliare significa anche imparare a valutare meglio le alternative. Una decisione mancata, una strada meno efficace o un risultato imprevisto diventano esperienze che affinano il nostro giudizio, rendendoci più capaci e consapevoli. L’errore è quindi un allenamento continuo della mente.
Ma se deleghiamo sistematicamente le nostre scelte agli strumenti tecnologici, rischiamo di atrofizzare proprio queste competenze. Quando è l’algoritmo a indicarci quale percorso intraprendere, quale libro leggere o quale attività proporre in classe, smettiamo di esercitare la nostra capacità decisionale. Questo è particolarmente critico per bambini e ragazzi, che hanno bisogno di sperimentare, affrontare l’incertezza, accettare i propri errori e imparare a correggerli.
Senza errori non c’è apprendimento autentico, e senza scelte autonome non c’è responsabilità. Difendere il diritto di sbagliare significa proteggere la possibilità stessa di crescere come individui liberi, creativi e consapevoli. Se dunque vogliamo introdurre la tecnologia nelle scuole, l’unica strada percorribile è quella della moderazione: tracciare percorsi, monitorarli, fare scelte e accettare gli errori che inevitabilmente ne deriveranno. Perché la regola di fondo rimane la stessa: sbagliando si impara.
Insegnare l’uso della tecnologia a scuola è una scelta impegnativa. Significa prima di tutto formare gli insegnanti, molti dei quali si mostrano ancora reticenti o diffidenti. Significa poi decidere se e come accogliere i risultati dei più recenti studi sull’impatto delle tecnologie in età evolutiva, sapendo che ogni decisione potrà rivelarsi parziale, o persino sbagliata. Ma ciò che conta è compiere una scelta consapevole, e soprattutto educativa.
Non si tratta di schierarsi a favore o contro: da una parte la tecnofobia che rifiuta ogni innovazione, dall’altra l’entusiasmo acritico che affida ai dispositivi la responsabilità di guidarci verso il futuro. La via da percorrere è quella di un’integrazione equilibrata, capace di valorizzare ciò che la tecnologia può offrire senza cancellare l’esperienza dell’errore, della ricerca e della lentezza, che in educazione rimangono valori imprescindibili.
Come mostra lo studio “Give Me a Choice: The Consequences of Restricting Choices Through AI-Support…” (Faas et al., 2024), il bilanciamento tra autonomia dell’utente e supporto tecnologico è cruciale per mantenere qualità delle decisioni, motivazione e coinvolgimento.
Anche nella scuola, dunque, la vera scelta non è se introdurre o meno la tecnologia, ma come integrarla con saggezza, nella misura in cui sia realmente utile. E se in alcuni casi si deciderà di limitarne l’uso, come forma didattica più adatta allo studente, questo non dovrà apparire come una rinuncia alla modernità, bensì come una scelta intenzionale: un atto educativo che restituisce agli studenti – e agli insegnanti – il piacere di scegliere, di confrontarsi con le difficoltà e di crescere senza affidarsi sempre alla scorciatoia della semplificazione.
E se lungo questo percorso di integrazione commetteremo errori, pazienza: in fondo siamo umani, ed è proprio questo che ci differenzia dalle macchine.
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