Isolamento digitale: come contrastarlo con una fruizione partecipata del digitale a scuola

Bridge Learning una risposta concreta

Nicola Simoncelli

7/7/20253 min leggere

Nel tempo dell’iperconnessione, i giovani non sono mai stati così soli. Secondo un recente approfondimento di Orizzonte Scuola, uno studente su quattro si sente isolato nonostante l’uso quotidiano dei social. È il paradosso della solitudine digitale: si comunica tanto, ma si interagisce poco, e spesso in modo superficiale. L’uso passivo della tecnologia sta contribuendo a un crescente malessere psicologico tra bambini e adolescenti, con sintomi che vanno dall’ansia alla depressione, già a partire dalla scuola primaria.

In questo contesto, la scuola può diventare un presidio fondamentale contro l’isolamento giovanile. Gli insegnanti, in particolare, hanno un ruolo cruciale nel trasformare il digitale da barriera relazionale a spazio di incontro. Promuovere un uso consapevole e condiviso delle tecnologie significa offrire agli studenti la possibilità di costruire legami autentici, sviluppare empatia e sentirsi parte di una comunità.

Per farlo, è necessario un vero cambio di paradigma: passare dal digitale individuale al digitale partecipato. Questo approccio mira a rendere l’esperienza tecnologica collettiva, valorizzando il lavoro di gruppo, il confronto tra pari, la mediazione dell’adulto. Non più ciascuno davanti al proprio schermo, ma attività progettate per essere vissute insieme: cooperative, dialogiche, relazionali.

La fruizione partecipata del digitale si traduce in ambienti di apprendimento dove il digitale non sostituisce la relazione, ma la potenzia. Questo significa costruire esperienze in cui gli strumenti tecnologici favoriscono l’interazione, la riflessione e l’azione condivisa. È qui che si colloca il nuovo progetto Bridge Learning, un modello didattico in fase di prima valutazione da parte di Ludotechnic, che punta a integrare interazione fisica, digitale e collaborativa per creare contesti educativi più inclusivi e coinvolgenti.

Sebbene non ancora testato sul campo, il metodo si ispira a pratiche già diffuse e consolidate: banchi digitali condivisi per attività in gruppo, laboratori di storytelling digitale, dove la narrazione è frutto di un processo collettivo; serious game cooperativi, che stimolano il pensiero critico e la collaborazione; esperienze “phygital” che combinano azione fisica, manipolazione e risposte digitali visibili a tutti.

L’idea è quella di sviluppare strumenti che restituiscano al digitale una dimensione umana e relazionale, ponendo attenzione anche agli studenti con difficoltà di apprendimento o bisogni educativi speciali.

Queste soluzioni didattiche si rivelano ancor più rilevanti se considerate alla luce delle ricerche sul benessere infantile: dati recenti mostrano che un approccio educativo innovativo e relazionale, persino nei primi anni di vita, può produrre benefici duraturi. In classe, ciò si traduce nella necessità di un uso del digitale sempre accompagnato da mediazione educativa, capace di sostenere l’autoefficacia, la partecipazione e la crescita emotiva degli studenti.

Agire sull’isolamento digitale non significa solo “ridurre gli schermi”, ma trasformare il modo in cui vengono usati: costruire un digitale che crea ponti, non confini; che facilita l’incontro, che stimola la partecipazione. In questa visione, l’insegnante torna a essere non solo facilitatore di contenuti, ma maestro di relazioni, regista di esperienze condivise.

Contro la solitudine digitale, la risposta più potente è l’educazione partecipata. Non basta introdurre tablet e LIM in aula: serve un progetto culturale e didattico che rimetta al centro la relazione, valorizzi la comunità educante e costruisca spazi in cui nessuno si senta invisibile.

È su queste basi che Ludotechnic ha avviato il lavoro sul metodo Bridge Learning: una visione pedagogica prima ancora che uno strumento tecnico, pensata per costruire ambienti digitali più umani, accessibili e partecipativi.

È di questo che ha bisogno oggi la scuola: di soluzioni educative che ripartano dalla relazione, dall’esperienza e dallo studente come soggetto attivo. Non servono più dispositivi impersonali, progettati senza un pensiero pedagogico dietro. È ora di uscire dalla logica dei prodotti “fintamente didattici”, concepiti per alimentare un mercato più attento al profitto che ai reali bisogni educativi.

La tecnologia educativa deve tornare a essere strumento di senso, non solo di consumo. Serve una nuova alleanza tra pedagogia e innovazione, in cui ogni dispositivo nasca da un’intenzione chiara: favorire la partecipazione, l’inclusione, il benessere.

In questa prospettiva, la collaborazione tra scuola, famiglie e comunità è fondamentale. Come ricorda Unni Karin Moksnes, supervisore di uno studio sul tema, “il senso di appartenenza ha un impatto enorme sul benessere dei giovani”. La scuola, in particolare, rappresenta un luogo chiave per promuovere relazioni positive e prevenire l’esclusione. Investire in iniziative per la salute mentale non solo migliora la qualità di vita degli studenti, ma può anche ridurre l’abbandono scolastico e favorire una partecipazione sociale e lavorativa più attiva nel futuro.