Didattica Universale e Neurodiversità: la risposta migliore alle affermazioni di Galimberti

Le provocazioni possono avere un valore se ci spingono a riflettere

Nicola Simoncelli

2 min leggere

Nel febbraio 2025, il filosofo Umberto Galimberti, durante un evento organizzato da Confartigianato Vicenza, ha sollevato un forte dibattito pubblico accusando la scuola elementare italiana di essere diventata una sorta di "clinica psichiatrica", a causa – secondo lui – della crescente diffusione di diagnosi di DSA, autismo e altri disturbi dello sviluppo. Ha insinuato che spesso dietro alle certificazioni ci sia la volontà di “facilitare” il percorso scolastico del figlio da parte di certe famiglie interessate a ottenere agevolazioni. Parole forti, che rischiano però di stigmatizzare migliaia di studenti già impegnati a superare quotidiane barriere educative. In questo contesto, esiste una risposta pedagogica solida e propositiva: la Didattica Universale, o Universal Design for Learning (UDL).

Il termine "Universal Design" fu coniato negli anni ’80 dall’architetto Ronald L. Mace, dell’Università della Carolina del Nord, per descrivere la progettazione di ambienti e oggetti utilizzabili da tutte le persone, senza la necessità di adattamenti o ausili speciali. Negli anni ’90, il Center for Applied Special Technology (CAST) ha trasferito questi principi nell’ambito educativo, sviluppando il modello UDL. La didattica universale, nota anche come Progettazione Universale per l'Apprendimento, è un approccio educativo che mira a rendere l'insegnamento accessibile e inclusivo per tutti gli studenti, indipendentemente dalle loro abilità o background. Questo concetto si basa sull'idea di progettare ambienti di apprendimento flessibili che possano adattarsi alle diverse esigenze degli studenti, eliminando le barriere all'istruzione.

Il modello UDL, promosso dal CAST, si basa su tre principi fondamentali:

  • Molteplici modalità di rappresentazione (come presentiamo le informazioni)

  • Molteplici modalità di espressione e azione (come gli studenti dimostrano ciò che sanno)

  • Molteplici modalità di coinvolgimento (come motiviamo e ingaggiamo gli studenti)

Questo significa rompere lo schema della lezione frontale unica, sostituendolo con una pluralità di strumenti, linguaggi e percorsi che rispettano i diversi stili cognitivi e ritmi di apprendimento.

Un punto fondamentale del dibattito sollevato da Galimberti riguarda la comprensione della neurodiversità. È importante chiarire alcuni concetti: le DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) non rientrano tecnicamente nella definizione di neurodivergenze in senso stretto, ma possono essere considerate una forma di neurodiversità. Sono disturbi neurobiologici specifici, diagnosticabili secondo criteri clinici. Non dipendono da deficit intellettivi, ambientali o sensoriali, e non sono malattie, ma condizioni che influenzano il modo in cui il cervello elabora determinate informazioni.

Ecco come distinguiamo i concetti:

DSA – Disturbi Specifici dell’Apprendimento.

comprendono:

  • Dislessia (lettura)

  • Disortografia (scrittura)

  • Disgrafia (grafia)

  • Discalculia (calcolo)

Neurodivergenza è un termine non clinico, nato in ambito sociale e culturale, che indica una differenza rispetto a ciò che è considerato “neurotipico” e include:

  • Autismo (ASD)

  • ADHD (deficit dell'attenzione/iperattività)

  • Disprassia (deficit motorio)

  • DSA (disturbi del neuro-sviluppo)

  • Altri profili neurologici atipici

Il termine neurodiversità promuove un’idea inclusiva, dove le differenze cognitive non sono viste come deficit, ma come varianti naturali della mente umana.

Le parole di Galimberti riflettono una visione ancora centrata sul concetto di normalità vs anomalia. Ma la scuola del presente (e del futuro) ha bisogno di superare questa dicotomia. Non si tratta di “curare” chi è diverso, ma di riconoscere che la diversità è la regola, non l’eccezione. La Didattica Universale offre strumenti concreti per lavorare con questa prospettiva, senza etichettare né stigmatizzare, ma valorizzando le potenzialità di ciascuno.

Strumenti digitali, app inclusive, realtà aumentata, software adattivi: la tecnologia è oggi alleata chiave della Didattica Universale. Quando ben progettata, rende l’apprendimento più accessibile, coinvolgente e personalizzato. Non per “facilitare” in modo ingiusto, ma per garantire pari opportunità educative.

Le provocazioni possono avere un valore se ci spingono a riflettere, ma non possiamo permettere che diventino un attacco ai diritti degli studenti. La scuola non è una clinica. E non è nemmeno una gara di sopravvivenza. È un luogo dove si apprende, insieme, nella diversità. La Didattica Universale non risponde con la polemica, ma con una visione educativa forte, inclusiva e lungimirante. Ed è quella visione che oggi più che mai dobbiamo promuovere.