AI in classe: la tecnologia aiuta, ma è la guida del docente che fa la differenza

Serve spiegare allo studente (e agli insegnanti) cosa il machine learning può realmente offrire per creare percorsi educativi realmente partecipati

Nicola Simoncelli

9/21/20254 min leggere

Con l’approvazione dell’AI Act (Regolamento UE 2024/1689), l’Europa ha scelto di darsi una vera e propria governance sull’uso dell’intelligenza artificiale. È il primo quadro giuridico completo al mondo dedicato a questa tecnologia, con l’obiettivo di garantirne un utilizzo sicuro, trasparente e rispettoso dei diritti fondamentali.

Se questa cornice riguarda aziende, enti pubblici e cittadini — che magari stanno già decidendo come servirsene con metodo — è forse nella scuola che gli effetti dell’AI si manifesteranno in maniera meno organizzata. Gli studenti infatti già oggi impiegano il machine learning (ML) per cercare notizie, scrivere testi o sintetizzare contenuti. Con risultati spesso non del tutto soddisfacenti sul piano didattico. Ma siamo sicuri che ne siano consapevoli?

Il ML è una branca dell’intelligenza artificiale che utilizza algoritmi per analizzare grandi quantità di dati e identificare pattern, attraverso i quali restituire informazioni aggregate. Questa è forse una spiegazione un po’ tecnica, ma utile per analizzare il quadro generale.

Se è retorico, pur con una base di verità, dire che la storia la scrivono i vincitori, non è sbagliato sostenere che la stessa notizia possa essere riportata con enfasi e attenzione ad aspetti differenti. Nel giornalismo è evidente come la notizia sia filtrata dal punto di vista di chi la scrive: oltre alla cronaca dei fatti, più o meno oggettivi, c’è sempre la lettura interpretativa dell’autore. Spesso è proprio questo che i lettori cercano: un punto di vista autorevole che dia senso alla “fredda cronaca”.

La stessa logica si ritrova anche nei libri scolastici, dove gli autori scelgono di mettere in rilievo alcuni aspetti a discapito di altri. In certi casi questo ha persino alimentato sospetti di revisionismo storico. Senza entrare troppo nel dettaglio, basti ricordare come i regimi totalitari abbiano sempre manipolato l’informazione di massa per orientare il pensiero comune.

Oggi, invece, i contenuti mainstream sono decisi da algoritmi generativi — una sottocategoria del machine learning — progettati per produrre nuovi contenuti (testo, immagini, audio, video) a partire dai dati su cui sono stati addestrati, considerati di maggiore rilevanza. I cosiddetti LLM (Large Language Models) possono essere open source quando il loro codice è pubblico e accessibile, oppure proprietari (es. ChatGPT, Gemini, Claude, Copilot), quando appartengono a grandi aziende e sono addestrati su dataset riservati.

Partiamo da questo per analizzare cosa accade concretamente quando uno studente interroga l’AI per fare una ricerca su un argomento e isolarne i punti chiave. Se lo studente formula richieste mirate, la macchina restituirà dati più specifici; al contrario, se sarà vago, la risposta sarà meno accurata. In entrambi i casi, però, la risposta sarà generata dentro il perimetro dei contenuti del dataset e arricchita dalle fonti considerate più affidabili dagli algoritmi, in quel momento. Per questa ragione, nella didattica ma non solo, si sta parlando sempre più di AI locale, dove i dataset risiedono all'interno di un sistema chiuso e le informazioni hanno una qualità validata da un editore riconosciuto, che ne garantisce l'attendibilità.

Volendo fare una prova semplice: basta interrogare modelli diversi con la stessa domanda su un argomento generico. Le risposte, che si tratti di ChatGPT, Gemini, Claude o Copilot, mostreranno un grado di accuratezza simile. Se il prompt — cioè la richiesta — è generico, si riceverà una risposta sommaria, prevalentemente legata alla cronaca. Certo, sarà possibile cogliere alcune sfumature, un accento posto su un aspetto piuttosto che su un altro, ma a tutte mancherà la “firma d’autore”: l’AI utilizzato in questo modo, si pone infatti come un assistente puntuale, ma privo della capacità di scelta.

Richiedendo invece dettagli su eventi specifici e cercando correlazioni tra i fatti, sarà possibile dare al testo un taglio più personale. Ma è qui che entra in gioco l’insegnante. Ricordo i miei professori che, davanti a un libro ritenuto parziale o inesatto, ci dicevano senza mezzi termini di saltare interi capitoli. Quelle pagine restavano bianche e senza sottolineature, suscitando la frustrazione dei genitori che vedevano nei libri acquistati un investimento sprecato. E noi finivamo a compilare riassunti tratti dalle enciclopedie, che almeno offrivano una cronaca più neutra. Enciclopedie che, però, erano un lusso, e che quindi si consultavano solo a casa di chi aveva la fortuna di possederle.

La verità è che già allora a fare la differenza era la guida del docente. Certo, era fondamentale conoscere i fatti storici, ma l’insegnante ci aiutava a distinguerli, a interpretarli, a non fermarci alla superficie: ci allenava a costruire un pensiero critico.

La stessa cosa vale oggi con l’AI. Senza il filtro critico del docente, lo studente rischia di limitarsi a una visione parziale del materiale studiato, o peggio, a un approccio sommario e generico. Perché se manca una preparazione di base sulla materia, diventa impossibile valutare il dato fornito dalla macchina in modo consapevole.

Sono le competenze d’ingresso del docente a fare la differenza: servono per utilizzare l’AI con discernimento e correttezza, non solo per dare il giusto peso ai fatti, ma per metterli in relazione e dare un taglio personale alla qualità dell’informazione. Solo così il contenuto diventa parte di un percorso di comprensione che accompagna lo studente.

L’AI può sembrare una semplificazione allettante, ma la sua efficacia sta nella consapevolezza dei suoi potenziali e dei suoi limiti. Se per lo studente rappresenta un modo rapido per superare una prova, allora forse occorre interrogarsi sulla reale qualità dell’insegnamento che riceve.

Usata con consapevolezza, l’AI può essere una grande risorsa; usata in modo passivo, rischia di diventare un’illusione per gli studenti che pensano di aggirare l’ostacolo senza accorgersi che il vero obiettivo è partecipare attivamente al proprio percorso formativo. Se questo verrà compreso, allora l’AI diventerà un alleato della formazione. Diversamente, resterà una tecnologia tra le tante, utilizzata in modo inadeguato e senza coglierne i reali benefici.